Venerdì, dopo 10 anni, sono andata al mercato di Reggio Emilia.
Credo che ci tornerò, forse, tra altri 10 anni.
Non so cosa mi aspettassi. Rimaneva l'illusione di ritrovare la città che percorrevo nelle mattine in cui facevo cabò da scuola.
Si faceva spesso "fuga" da scuola, specialmente al venerdì, specialmente quando c'erano due ore attaccate di matematica con quell'insegnante che in 5 anni, la cosa più carina che mi ha detto è stata "Aguzzoli, ti vesti come una puttana".
Direi un ottimo incentivo per ripresentarsi alle sue pallose lezioni di funzioni, teoremi e parentesi tonde, quadrate, graffe che nella vita ho ritrovato solo nei ricamini sulla carta igienica, nei momenti di totale relax nel mio bagno.
Comunque, durante la sua spiegazione, io ero in giro per il centro, con l'Invicta sulle spalle, il cornetto del mio bar preferito nella pancia e tanta voglia di vita in giro.
La via Emilia, percorsa di soqquatto, saltando furtiva da una colonna del porticato all'altra, offriva uno spaccato di quello che era una città viva.
Lavoranti in giacca e cravatta, persone sorridenti che passeggiavano, vetrine colorate e negozi pieni di gente.
Per la cronaca io vestivo quasi sempre coi Jeans ed una giacca in pelle marrone.
Quel che di quella professoressa mi è rimasto nel tempo è il dubbio di cosa, nel mio outfit, non le andasse giù.
Il Martedì e il Venerdì poi c'era il mercato pieno di colori, bancarelle con abiti firmati, scarpe in pelle (cosa ormai introvabile) ed un sentore di allegria che folleggiava nell'aria.
La settimana scorsa ho visto la mia città agonizzante in un grigiore che ti spinge sull'orlo della depressione.
Ho parcheggiato l'auto in un grande parcheggio gratuito fuori dal centro e con il tram ho raggiunto quello che dovrebbe essere il cuore della città.
Già prendere il tram è stata un'esperienza indimenticabile dato che gli autisti non ti dicono nemmeno buongiorno.
Ti guardano salire con quel leggero ghigno che lascia supporre che, se potessero, ti stritolerebbero in mezzo alle porte automatiche.
Mentre cerchi di aggrapparti a qualcosa, qualsiasi cosa che non sia il pene del tuo vicino che ti guarda eccitato, provi a mantenere un contegno mentre ballonzoli a destra e sinistra a seconda del verso della curva presa con la delicatezza di un pilota di formula uno.
Ascolti interessanti discorsi che preferiresti non sentire, di poveretti che hanno investito i loro averi nell'ultima sala giochi sbucata al posto del panettiere e speri che ci sia una fermata vicina al luogo in cui vorresti scendere al più presto.
Sì.... perchè dopo 10 anni che non prendi un tram, mica lo sai dove ferma!!!
Per non rischiare di ritrovarmi in piena campagna, sono scesa in un punto che probabilmente era ad un paio di chilometri dalla meta, uccidendo i sogni erotici del mio vicino di bus, che quasi non riusciva più a trattenere le mani.
Mi é sorto il dubbio che questa specie di persone sia parte integrante del biglietto. Paghi un euro per la tua corsa, maniaco incluso.
I negozi più belli della via Emilia non ci sono più.
Restano vetrine vuote, tristi pavimenti con calcinacci caduti dal soffitto, qualche striscia di carta mollemente penzolante dalle porte e vari cartelli, rimanenze di saldi per cessata attività.
Le bancarelle altro non offrono che montagne di schifezze.
Non montagne di vestiti, rimanenze di stock o partite di cose firmate.
Solo rimanenze di quelle cose che probabilmente tu hai buttato nella raccolta di abiti credendo di aiutare i bambini del Madagascar e invece ritrovi in vendita qui, a un euro tre pezzi.
E la cosa più triste è che c'è una calca di gente inimmaginabile che si scazzotta per cercare il terzo pezzo a 0,33 periodico (fanculo la mia prof.) accontentandosi della maglietta con la patacca di olio piuttosto che del reggiseno dal pizzo smollato dagli eccessivi lavaggi in lavatrice a 60°.
Ti guardi intorno e vedi i due leoni di piazza San Prospero che stanno per addormentarsi.
Una volta, tanto per fare i cretini, ci si sedeva sopra.
Oggi è vietato.
Non si sa mai che il tuo culo sfondasse la pietra rosata in cui vennero costruiti.
Potevi immaginare di cavalcare Simba, e non avevi nemmeno lo smartphone per farti la foto, ma sorridevi.
Un mercantino urlante ha attirato la mia attenzione: "donne!! non aprite le confezioni di collant!!" "insomma!!! non aprite i collant". Ho immaginato quest'uomo tirare fuori una mazza e prendere a bastonate le donne impazzite. Suppongo che prima di mezzogiorno tre o quattro siano finite in fila al pronto soccorso per aver smangiato un collant 20 denari color daino.
Io non ho visto nessuno sorridere.
Ho visto solo una moltitudine di gente informe, dentro cappotti grigi e giacche a vento che sapevano di grigio.
Una società multietnica dove la maggior parte delle donne indossava un velo in testa.
Avresti potuto essere benissimo nella piazza del mercato di Marrakech, con la differenza che qui mancavano i colori ed i profumi delle spezie.
C'erano profumi sì. Ma non di spezie.
Ogni tanto mi annusavo le ascelle per essere certa di non essere io a puzzare così.
Non si sa mai: la camminata, la botta ormonale del maniaco del tram, il pre-mestruo...
Fortunatamente non ero io. L'odore era proprio in giro, nell'aria pesante.
Ho deciso di comprarmi una pizza. Lì nella piazza c'è un forno storico.
Un forno che fa una pizza morbida e calda. Non propriamente leggera, ma davvero buona.
Ho deciso di entrare.
Cazzo. Ci vuole la laurea.
Prendi il numero. Prendi la pizza. Ti danno la tessera per il cibo. Paghi il cibo. Prendi il bere. Paghi il bere, 0,15 cent la borsina, saluti, nessuno ti caga, picchi quattro persone e riesci ad uscire.
Torni in mezzo alla folla, sei così nervoso che picchi altre due persone ed inizi a mangiare la pizza.
Però ti accorgi che non ti hanno dato nemmeno un tovagliolino e la vita vuole che una donna, dopo il secondo compleanno del figlio, smette di portarsi in borsa le salviettine umidificate.
Così ti arrabatti cercando di lavarti le mani con l'acqua della bottiglietta prima di succhiarti le dita sgocciolanti di pomodoro e loro, quelli delle tre magliette a un euro, ti guardano come una pezzente.
Sto mangiando una pizza.
Non sto rubando una borsa, non sto cavalcando il leone, non sto chiedendo l'elemosina, non sto molestando qualcuno sul tram.
Sto solo mangiando una pizza.
Ho deciso di ritornare al parcheggio.
Ho incontrato per caso il tram giusto. Ho dovuto accelerare un po' il passo per evitare che l'autista mi passasse davanti col dito medio alzato e sono tornata alla mia macchina.
Il clou dei discorsi dell'autobus sono passati dagli investimenti nelle sale gioco alle visite mediche a pagamento.
Mi sono intristita anche io.
Di tutto al mio giro al mercato ho comprato solo due paia di calze per Amò.
Se non me le avesse commissionate non avrei preso nemmeno quelle.
Come dicevo all'inizio credo che ci tornerò forse tra altri dieci anni.
Non so... sono rimasta delusa dalla mia città, delusa dal fatto che non ci ho trovato più nulla di colorato.
Ho rimpianto la mia professoressa che mi guardava con disprezzo per non so cosa.
Se in quinta superiore avessi immaginato che vent'anni dopo i ragazzi che fanno cabò si sarebbero ritrovati a passeggiare in mezzo a questa tristezza gliel'avrei detto: "grazie Prof., grazie per avermi trattato così. Almeno durante le sue ore mi sono divertita in giro per Reggio!!!.... se nel mentre lei fosse andata in pensione, e per andare al mercato dovesse prendere il tram ecco.... il tratto Foro Boario - Piazza Gioberti è servito benissimo... stesse per cadere, sa dove attaccarsi!!"
:-)
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